Storia della scrittura

I primi graffiti incisi sulle rocce dall'uomo risalgono a più di 35 mila anni fa. Erano certamente una forma d'arte, ma gettarono il primo seme per la nascita della scrittura, ovvero di un codice che permette di comunicare informazioni tramite segni che non hanno alcun significato evidente.
Il significato di quei graffiti, però, all'inizio erano evidenti: i disegni, chiamati "pittogrammi", potevano essere compresi da chiunque indipendentemente dalla lingua parlata.
Questo tipo di scrittura poteva però trasmettere solo concetti elementari: una serie di pittogrammi poteva raccontare che i cacciatori avevano abbattuto 5 prede, che uno di loro era stato ucciso e quali erano gli animali cacciati, ma non quanto fossero lontani dalla caverna i territori di caccia, o quanto tempo i cacciatori avessero atteso prima di far scattare la trappola.
Questa scrittura embrionale è definita dagli studiosi "statica", perché si limita a rappresentare un evento, senza alcuna astrazione.
Secondo Denise Schmandt-Basserat, docente di arte mediorientale all'Università di Austin, Texas, il primo grande passo avanti rispetto ai pittogrammi si può individuare in alcuni gettoni ritrovati in Iran e Pakistan, databili intorno all'8500 a.C.. Questi gettoni, a metà tra le monete e i contratti commerciali, portano impressi simboli che rappresentano le merci scambiate.
I contratti venivano stipulati riempiendo vasi d'argilla con il corretto numero di gettoni (definiti bullae) e per conoscere il contenuto dei vasi veniva impresso sull'argilla fresca il simbolo del gettone. Con il tempo, ecco l'intuizione: perché non riportare i segni direttamente su tavolette d'argilla, saltando l'inutile complicazione dei vasi pieni di gettoni?.
Nacque così la scrittura cuneiforme, sviluppatasi in Mesopotamia tra il 4000 e il 3500 a.C., che per la prima volta perdeva ogni traccia dell'oggetto che i segni rappresentavano.
I caratteri cuneiformi erano poco "disegnati" anche per motivi pratici: dovevano essere incisi nell'argilla. Ma la loro affermazione fu comunque una svolta nell'evoluzione della scrittura: per la prima volta, infatti, la comprensione dei simboli era riservata a una minoranza di privilegiati, e fu necessario fondare scuole per insegnare i "segreti" dei caratteri cuneiformi, che contavano più di 1.500 segni distinti.
Parallelamente, nell'Egitto del 3000 a.C. si hanno i primi esempi di scrittura geroglifica che, pur utilizzando i segni che s'ispiravano a immagini comuni (un falco, una mano, un occhio... ) introducevano il concetto di ideogramma: il disegno, cioè, poteva indicare sia l'oggetto concreto sia un concetto a esso collegabile. La figura di un piede, per esempio, poteva indicare il piede, ma anche il verbo camminare.
Gli ideogrammi cinesi, nati intorno al 1500 a.C., ancora oggi utilizzano questo sistema misto: un albero stilizzato indica la parola "albero", ma il disegno di due alberi stilizzati significa "bosco", non "due alberi". Il vantaggio?. La scrittura ideografica cinese può essere compresa in ogni parte della nazione, indipendentemente dal dialetto parlato.
Le cifre sono un altro esempio di ideogrammi moderni: un'operazione matematica viene "letta" da ciascuno nella propria lingua, ma mantiene sempre lo stesso significato.
Lo svantaggio?. Il numero dei simboli per rappresentare le parole senza equivoci tende a diventare enorme.
I geroglifici egiziani, però, introducono anche un nuovo concetto che risulterà fondamentale per lo sviluppo della scrittura: quello del principio acrofonico, per cui a un geroglifico viene attribuito il valore del suono iniziale della parola che rappresenta. Come se il disegno di una casa finisse per indicare il suono "C".
Il linguista americano Leonard Bloomfield (1887-1949), per spiegare come un simbolo possa perdere il significato dell'immagine rappresentata, usava l'esempio del geroglifico della scacchiera (che si pronunciava "mn"). A poco a poco, lo stesso geroglifico venne utilizzato per indicare anche il verbo omonimo "mn" (che significava rimanere), mentre il segno ripetuto 2 volte indicava il verbo "mnmn" (muovere).
Il passaggio della scrittura per immagini al sistema attuale, nel quale i simboli indicano soltanto i suoni, è avvenuto grazie al principio del rebus, cioè l'idea di unire due immagini (che rappresentano due parole) per indicarne una terza nata dall'unione delle due parole: se il disegno di una corona corrisponde al suono "re" e il disegno delle onde alla parola "mare", perché non usare i due disegni affiancati per scrivere la parola "remare"?.
In tal modo, a poco a poco, il principio fonetico prese il sopravvento su quello puramente pittografico. E portò infine ad una drastica limitazione del numero dei segni da utilizzare per comunicare. Il passo successivo, ovviamente, fu l'invenzione dell'alfabeto, che comparve nella penisola del Sinai intorno al 1800 a.C. e diede finalmente all'uomo la possibilità di mettere per iscritto qualsiasi parola, senza bisogno di conoscere il simbolo corrispondente.
Il passaggio più importante per lo sviluppo della scrittura è rappresentato dall'invenzione dell'alfabeto, un sistema di simboli nel quale i segni cessano di fare riferimento all'oggetto che rappresentano e corrispondono esclusivamente a un suono. Il primo alfabeto nasce intorno al 1800 a.C. ad opera di popolazioni semitiche (Assiri, Sumeri, Ebrei, Arabi) nell'area mesopotamica, proprio dove migliaia di anni prima era apparsa la scrittura cuneiforme.
Tutti gli alfabeti del mondo, compresi il greco, l'arabo, l'ebraico, il romano, il cirillico, derivano in un modo a nell'altro dall'evoluzione di quell'originario codice semitico.
E' curioso notare che, inizialmente, l'alfabeto non comprendeva tutti i suoni disponibili (almeno dal nostro punto di vista). L'alfabeto fenicio, sviluppatosi intorno al 1650 a.C., così come il semitico non aveva vocali, che erano considerate estensioni sonore dei segni. La conseguenza?. Era impossibile leggere ad alta voce uno scritto fenicio senza conoscere la lingua, sapendo quindi quali vocali inserire tra le consonanti del testo.
Per quanto possa sembrare scontato al giorno d'oggi, l'introduzione delle vocali nell'alfabeto fu una fantastica intuizione.
Nel caso degli alfabeti privi di vocali, imparare a scrivere è infatti molto più difficile. Ancora oggi l'alfabeto ebraico, codificato per la prima volta intorno al 200 d.C., e quello arabo, apparso nel 325 d.C., non contengono vocali. Nelle scuole israeliane, però, fino alla terza elementare, vengono aggiunti punti e linee vicino alle lettere per far comprendere ai giovani in che modo la parola deve essere letta.
Un altro esempio di scrittura priva di vocali è il giapponese, che (pur utilizzando anche gli ideogrammi, importati dalla Cina tra il V e VI secolo), usa uno speciale alfabeto detto Katakana, nel quale ogni segno rappresenta una consonante più un suono vocalico, ovvero una sillaba: per esempio ma, me, mi, mo, mu. Un sistema simile è retaggio del concetto che le vocali noi siano che estensioni sonore delle consonanti, ma richiede un numero di simboli molto superiore a 21 cui siamo abituati.
Il Katakana è comunque già un miglioramento rispetto alle scritture totalmente ideografiche come il cinese (si pensi che il dizionario cinese K'anghsi, del 1716, catalogava ben 40.545 simboli!).
Partendo da un sistema simile, l'adozione di un sistema alfabetico assume anche un aspetto politico. Come accadde nel 1443, in Corea, quando il re Sejong della dinastia Yi fece adottare un alfabeto che permettesse alla scrittura di essere più accessibile ai suoi sudditi. Gli studiosi che avevano passato anni ad apprendere i caratteri cinesi continuarono ad usarli, perché la letteratura voleva essere elitaria, ma da quel momento la scrittura non fu più privilegio di una ristretta minoranza.
La leggenda vuole che sia stato Cadmo, eroe di Tebe, a importare l'alfabeto in Grecia dalla fenicia nel 1519 a.C. e che poi, una alla volta, siano state inventate le vocali.
Nel 750 a.C., con la nascita del primo alfabeto greco, la scrittura raggiunse quella che potrebbe essere definita la piana maturità. I Greci, infatti, sviluppando il primo alfabeto completo, comprensivo di vocali, completarono la trasformazione dei suoni verbali in simboli scritti.
Anche per questo, come sostiene Eric Havelock (1903-1988), docente di studi classici dell'università di Harvard, l'antica cultura greca assunse e mantenne per secoli un ruolo dominante. Tutti gli alfabeti occidentali hanno infatti mantenuto la struttura del greco antico: da quello etrusco, nato intorno al 650 a.C., a quello latino (550 a.C.), dal quale discende direttamente l'alfabeto che utilizziamo ancora oggi.

Una domanda cui da sempre si cerca di dare una risposta è perché le lettere dell'alfabeto abbiano la forma che conosciamo. Esistono diverse teorie che cercano di spiegarlo, una della quali mette in relazione la grafia con la posizione delle labbra, della lingua e, in generale, con i movimenti del viso nel momento in cui una certa lettera viene pronunciata.
Tuttavia anche se questa interpretazione appare convincente per alcune lettere (per esempio, per la "O"), in realtà una spiegazione definitiva non è stata trovata.
Anche l'ordine alfabetico è un mistero irrisolto. L'ipotesi più attendibile è che inizialmente le lettere venissero utilizzate per indicare i numeri, perciò la prima lettera corrispondeva al numero uno, la seconda al numero due e così via. Ma come detto, è solo un'ipotesi.
Se anche l'ordine è casuale, una cosa la sappiamo di sicuro: nel passaggio dal fenicio al greco antico, l'ordine delle lettere è stato ribaltato: la A era l'ultima lettera, non la prima.
Anche gli alfabeti creati a tavolino, come quello coreano o il cirillico, che la leggenda vuole realizzato da San Cirillo nell'anno 861 d.C., seguono l'ordine alfabeti adottato fin dalle origini senza nessuna innovazione.
Altrettanto arbitraria è la direzione della scrittura, tanto è vero che si scrive da sinistra a destra in Occidente, da destra a sinistra nei Paesi Arabi, dall'alto in baso in Cina (e l'etrusco era addirittura "bustrofedico": si scriveva una riga in una direzione e la seguente nella direzione opposta).
Ciò che non è misterioso è l'evoluzione "sociale" della scrittura, che in tutte le società attraversa le stesse 3 fasi.
Inizialmente è considerata uno strumento magico e segreto (ancor oggi l'alfabeto runico, il futhark, viene comunemente associato alla magia).
Poi, a poco a poco, la scrittura viene usata per i commerci e passa dai sacerdoti agli artigiani: ci si rivolge a uno scriba per scrivere lettere e documenti come ci si rivolgerebbe a un muratore per costruire una casa. I materiali utilizzati dagli scribi (tavolette d'argilla, cartapecora, papiro...) richiedevano infatti una notevole abilità manuale, che andava ben oltre la conoscenza dell'alfabeto.
Infine, la scrittura si diffonde alla maggioranza della popolazione. In Grecia, per esempio, questo avvenne ai tempi di Platone, dopo più di tre secoli dall'introduzione dell'alfabeto. Con l'effetto, come vedremo oltre, di modificare i processi mentali stessi.
La scrittura nasce come auto mnemonico, come dimostrato dal fatto che la maggior parte degli scritti cuneiformi sono libri di conti o elenchi.
Il suo primo effetto sulla psiche umana non è però quello previsto da Platone, che temeva annullasse le nostre capacità di memorizzazione. Secondo uno studioso moderno come Derrik de Kerckhove, docente all'Università di Toronto, la diffusione della scrittura (o meglio, di un alfabeto totalmente fonetico) ha invece avuto come conseguenza una stimolazione dell'attività dell'emisfero cerebrale sinistro, tale da migliorare le nostre capacità di pensiero astratto.
Ma perché la capacità di scrivere dovrebbe cambiare il modo di pensare? Principalmente perché, quando si scrive, non si possono accompagnare le parole con i gesti ed espressioni che le rendano più chiare all'interlocutore. E questo costringe lo scrivente a essere il più chiaro possibile, al solo scopo di essere compreso. Per riuscirci, è necessario analizzare le singole parti del discorso, scegliere la collocazione migliore dei verbi, fare attenzione all'uso del soggetto e così via. Inoltre, si ha a disposizione il tempo necessario per correggere una parola, eliminarla o trovarne una più adeguata.
Se lo stesso tipo di processo viene poi trasferito, almeno in parte, al linguaggio parlato, si sviluppa la tendenza a costruire frasi più complesse. Chi invece non ha l'abitudine alla scrittura, tende a usare frasi più brevi, correggendo eventuali errori con nuove affermazioni contraddittorie e, spesso, completando le frasi con cenni, gesti e monosillabi privi di significato. E' per questo che le trascrizioni letterali di conversazioni risultano quasi incomprensibili.
Sarebbe comunque un errore credere che gli analfabeti, che nel mondo secondo i dati UNESCO sono 900 milioni, "pensino"; in maniera diversa rispetto ai soggetti alfabetizzati: la sola differenza è che chi non ha imparato a scrivere incontra maggiori difficoltà nell'analizzare i pensieri e i concetti astratti.
Intanto la scrittura continua a evolversi. L'ultimo passo, ovvero l'uso dei sistemi di videoscrittura, potrebbe avere un impatto paragonabile a quello dell'introduzione della carta. La carta rese infatti la scrittura manuale più facile e più veloce, e ora la videoscrittura consente un'ulteriore accelerazione... oltre a rendere molto più rapide ed economiche le modifiche al testo: se si sbaglia, non è necessario buttare via il foglio.
Per il momento, tuttavia, c'è un unico cambiamento evidente: l'introduzione (soprattutto nella posta elettronica, negli sms e nelle chat via Internet) degli emoticon o smiley. Il loro uso è reso necessario dall'esigenza di esprimersi per iscritto con la stessa velocità del linguaggio parlato, e con lo stesso rischio di essere fraintesi: una faccia sorridente o imbronciata, una linguaccia, un bacio servono così a stemperare il significato letterale di un'affermazione.
Si usano insomma questi "pittogrammi" moderni per spiegare se la frase è ironica o seria, proprio come i determinativi dei geroglifici egizi servivano per far capire se un simbolo doveva essere letto come un verbo o come un sostantivo.